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I retabli

I retabli

I retabli

Al momento della sua esportazione in Sardegna, lo schema del polittico gotico ispanico ("retaule", con termine catalano; "retablo", castigliano) doveva aver già assunto una forma stabile, ormai collaudata per la funzione assegnatagli. In base a quanto si apprende dalla documentazione scritta e attraverso la testimonianza negli stessi dipinti, si ritiene che il retablo sia stato introdotto in due versioni, distinte forse dalle dimensioni.

Innalzato con la struttura del doppio trittico su una predella a riquadri di numero dispari, presentava la cornice dei polvaroli a spioventi o a cuspide centrale nelle pale di piccole dimensioni. Per i polittici maggiori, lo schema che diviene canonico ha terminale piatto, con la cornice diagonale del polvarolo tesa orizzontalmente sullo scomparto centrale ("pessa mitjana") che sovrasta sensibilmente i laterali ("pessas foranas", "de ma esquerra" quelli di sinistra, "de ma dreta" quelli di destra), lungo i cui bordi esterni i polvaroli ("guardapols") seguono una linea spezzata, interrotta ad una certa distanza dalla predella ("peu").

Struttura a doppio trittico ed iconografie canonicamente gotico-catalane si deducono dai frammenti superstiti del "Retablo dell'Annunciazione" (1406 circa), proveniente dal San Francesco di Stampace, del quale la Pinacoteca Nazionale di Cagliari custodisce la predella e tre tavole, ascritte al catalano Joan Mates, opera con ogni probabilità dipinta a Barcellona ed esportata nell'isola.

Nel 1455, con il "Retablo di San Bernardino" già nel San Francesco di Stampace e ora nella Pinacoteca di Cagliari, si ha per certo che la committenza isolana è ormai passata dall'importazione d'opere interamente prodotte in Catalogna, alla domanda a pittori trasferitisi in Sardegna e operosi in botteghe locali.

A partire da questo caposaldo, il quadro della pittura isolana del secondo Quattrocento appare sempre più ricco e variato, grazie alla quantità e qualità delle opere pervenute, intere o frammentarie, e grazie al ventaglio di riferimenti culturali, che esse dispiegano con ampia apertura fra polo italiano (soprattutto Napoli) e polo iberico (Barcellona e Valencia), attraverso cui giungevano vivi riflessi della visione fiamminga.

Emblematica, in tal senso, è la posizione del Maestro di Castelsardo, inconfondibile nei modi caratterizzanti le opere di sostanziale autografia. Tutte ruotano attorno ad un'unica data certa, il 1500, anno in cui risulta, da un atto del 6 giugno, che i coniugi Giovanni e Iolanda di Santa Cruz, signori del luogo, accesero un censo annuo perpetuo in favore del notaio cagliaritano Nicolò Gessa, per pagare il retablo fatto dipingere per la loro chiesa a Tuili. Si tratta del "Retablo di San Pietro", il maggiore fra i due che si conservano nella parrocchiale di Tuili, opera di capitale importanza per la focalizzazione degli elementi culturali circolanti in Sardegna allo scadere del Quattrocento e allo schiudersi del nuovo secolo.

È il momento in cui esordisce a Cagliari la cosiddetta "Scuola di Stampace, che trae il nome dal quartiere di Cagliari dove la famiglia dei Cavaro tenne bottega per diverse generazioni. Il maggiore dei pittori di Stampace è Pietro Cavaro. Le notizie d'archivio, che su di lui è stato possibile reperire, vanno dal 1508 al 1538. Il 2 gennaio 1508, Pietro Cavaro figura tra i membri del gremio dei pittori barcellonesi; ne deduciamo che doveva essere in Catalogna almeno da un decennio e certo abbastanza apprezzato, se godeva di tale posizione.

Rispetto ai tempi, Pietro Cavaro è pittore sotto diversi aspetti fortunato, fose l'unico sardo ad aver avuto modo di plasmare la propria personalità in un ambiente come quello di Barcellona, dove poté godere di stimoli fecondi, perché articolati nelle più diverse direzioni, da quella fiamminga a quella italiana. Di questa circostanza egli seppe avvalersi per procurare un'apertura che produsse i suoi frutti in Sardegna per ancora un secolo, con orizzonte di 180 gradi da Barcellona a Napoli.

Prima opera (fra quelle giunte a noi) è il "Retablo della Vergine" per l'altar maggiore della parrocchiale di San Giovanni battista a Villamar, che nelle cimase inferiori dei polvaroli reca gli stemmi della committenza Aymerich e l'iscrizione con la data 1518 e la firma del pittore: "pinsit hoc retabolum Petri Cavaro pictorum minimus Stampacis".
Alla data del retablo di Villamar, l'opera più complessa e più completa fra quelle che di lui si conservano, Pietro Cavaro aveva dunque maturato non solo le esperienze più importanti dell'ambiente barcellonese, ma pure assimilato elementi fondamentali della situazione artistica napoletana, che procurano l'abbandono dei modi tardogotici e l'adesione a quelli della pittura rinascimentale italiana. Alla morte di Pietro Cavaro (1537) prosegue l'attività della fiorente bottega il figlio Michele con evidenti riprese raffaellesche, mentre Antioco Mainas diffonde opere di gusto più popolaresco.

Anche per la pittura manieristica abbiamo pregevoli testimonianze pittoriche, in particolare le opere dell'interessante ma ancora misterioso Maestro di Ozieri, che ha bottega nel settentrione sardo ("Retablo della Madonna di Loreto" nella cattedrale di Ozieri, "di Sant'Elena" nella parrocchiale di Benetutti, "Sacra Famiglia" nella Pinacoteca di Ploaghe).

Tra la fine del Cinquecento ed i primi del secolo successivo sono attivi nel meridione dell'isola i pittori napoletani Bartolomeo Castagnola, Giulio Adato, Ursino Bonocore e l'algherese Francesco Pinna, il quale lavora a Cagliari ("Pala di Sant'Alberto" nella chiesa del Carmine, "di Sant'Orsola" oggi in Pinacoteca), con uno stile aperto a suggestioni campane dirette o mediate dalle stampe.

Aggiornamento

12/9/2023 - 22:14

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