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L'architettura romanica

L'architettura romanica

L'architettura romanica

Nel panorama architettonico del Romanico sardo, il repertorio delle piante annovera anzitutto il tipo di chiesa a impianto longitudinale, con abside semicircolare a est. Le cattedrali e le chiese più importanti hanno tre navate, divise da arcate su colonne o su pilastri. I capitelli sono talvolta esemplari in marmo di età romana, di reimpiego.

Le navate possono avere coperture lignee o volte in pietra. Furono realizzate volte a botte, con o senza sottarchi, o a crociera. Diverse chiese, soprattutto nel XII secolo, ebbero un sistema di copertura misto: soffitto ligneo nella navata centrale e volta a botte o a crociera nelle laterali. I tetti esterni sono quasi sempre in tegole.

Altro tipo di pianta è quello a due navate, entrambe con absidi, usato per un gruppo di edifici del XII-XIII secolo, spesso con volta a botte. La maggior parte delle chiese romaniche della Sardegna, specie quelle di dimensioni minori, ha però pianta a navata unica, prevalentemente coperta in legno. In questo tipo di edificio caratterizzato da semplicità costruttiva manca il campanile a canna, sostituito da quello a vela innalzato sulla facciata.

A parte due chiese completamente costruite in mattoni, il materiale utilizzato è la pietra, tagliata in blocchi lavorati e messi in opera con cura. La disponibilità in cave locali determina l'uso di blocchi in pietra sedimentaria (calcare, arenaria, tufo) o vulcanica (granito, andesite). Quando è presente in forma di colonne o capitelli scolpiti, il marmo bianco è sempre frutto di reimpiego. Mancano infatti nell'isola cave di marmo bianco sfruttate in antico e capaci di fornire materiali in quantità utile all'attività estrattiva per fini edilizi.

Una distinzione in senso cronologico caratterizza le chiese giudicali. Si può individuare un romanico iniziale, collocabile tra il 1050 e il 1150 e caratterizzato dalla presenza di maestranze che provengono da Pisa, affiancate da quelle lucchesi (come nella chiesa di San Giovanni di Viddalba) e da quelle catalane e provenzali giunte a seguito dei monaci dell'abbazia di San Vittore di Marsiglia (San Saturnino di Cagliari, Sant'Efisio di Nora presso Pula).

In questo periodo si realizzano edifici di grandi dimensioni ed emerge la tendenza a privilegiare l'aspetto strutturale rispetto a quello decorativo. Gli edifici più significativi del periodo sono San Gavino di Porto Torres, Santa Maria del Regno di Ardara, Santa Maria di Bonarcado e le cattedrali di S. Simplicio di Olbia, Santa Giusta e Sant'Antioco di Bisarcio (Ozieri).
A questo periodo di sperimentazione segue quello del romanico maturo, fra il 1150 e il 1250, nel quale si esprime un legame più profondo con Pisa, assicurato dalla circolazione delle maestranze fra l'isola e la terraferma, e dalla presenza massiccia dei mercanti che svolsero un ruolo importante in campo economico e politico.

A partire dalla chiesa di San Nicola di Ottana, edificio di mediazione tra i due momenti, si registra l'applicazione di nuove soluzioni, con la realizzazioni di edifici grandiosi nei quali trova sempre più spazio la tendenza alla decorazione architettonica. Più evidente nelle facciate, il nuovo sistema decorativo prevede la realizzazione di false logge sovrapposte, che nel San Pietro di Sorres trovano l'espressione più compiuta. Dal 1160 interviene un'altra innovazione, con la diffusione dell'opera bicroma, consistente nell'alternanza di filari di pietra scura (vulcanica di diverse tonalità) e pietra chiara (calcarea). Gli esempi più noti e significativi di questa tecnica sono la Santissima Trinità di Saccargia, Santa Maria di Tergu e San Pietro del Crocefisso a Bulzi.

Una terza fase è quella del romanico tardo, fra il 1250 e il 1300, caratterizzata dall'inserimento di elementi decorativi gotici in un impianto ancora romanico. Ciò è giustificato dal fatto che in Sardegna l'avvento del gotico non ha mutato radicalmente le modalità costruttive, ma si è inserito nel tessuto culturale romanico in continuità con esso. In una fase iniziale i cambiamenti interessarono soprattutto elementi di superficie, come le forme degli archetti pensili o delle finestre o dei peducci, che assunsero un aspetto più allungato.
L'ampliamento della Santa Maria di Bonarcado è rappresentativo di quest'ultima fase, osservabile anche nella ricostruzione della cattedrale di San Pantaleo di Dolianova, nel San Pietro di Zuri (Ghilarza), nella cui fabbrica operò il maestro Anselmo da Como, e nella chiesa di San Pietro extra muros a Bosa, dove si individua la presenza dello stesso Anselmo e delle sue maestranze.

Aggiornamento

22/9/2023 - 11:01

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